Fondazione Beyeler

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La storia della Fondazione Beyeler inizia negli anni Ottanta, quando i coniugi Ernst e Hildy Beyeler, galleristi e collezionisti, scelgono un terreno a Riehen poco fuori Basilea e chiamano l'architetto Renzo Piano a progettare l'edificio che avrebbe ospitato la loro collezione. Da un continuo scambio di esperienze e un integrarsi di sensibilità tra l'architetto ed il committente nasce un progetto che nella sua eleganza discreta si assoggetta all'arte senza tuttavia venirne offuscato.
Oggi la Fondazione continua a portare avanti le volontà di Ernst Beyeler attraverso nuove acquisizioni, l'attività di il restauro delle opere e con mostre che indagano le relazioni reciproche tra arte figurativa ed astratta, spesso ricercando accostamenti inediti. Le esposizioni temporanee, fino a quattro in un anno, intrecciano invece rapporti sempre nuovi con l'arte contemporanea mantenendo però il carattere peculiare della collezione permanente.


Arrivando il lungo muro di porfido rosso della Patagonia cela il calmo giardino, una pausa che sembra volerci preparare alla visita, mentre l'edificio sobrio e misurato appare delicatamente inserito nel contesto circostante. 
Una volta entrati, nulla distrae il visitatore, non un dettaglio tecnico o formale, così come nessun elemento lo separa dalle opere che emergono, silenziose e indiscusse protagoniste, dal bianco di pareti, setti, soffitti. La sensazione non è però quella asettica tipica di certi white cube, ma piuttosto si sviluppa un senso di familiarità ed appartenenza, stando seduti sul lungo divano davanti al trittico di Monet, con la luce che entra dall'ampia vetrata verso il giardino è come se tutto ciò fosse anche un po' tuo.  Le sale eteree e luminose, lo spazio fluido, sono attentamente pensate in funzione della collezione e di colui che ne fa esperienze; le accortezze progettuali, dalla copertura in vetro e schermature orientabili studiata per avere la giusta quantità di luce diffusa alle sedute che scandiscono la visita, ci permettono di concentrarci e di ritrovarci soli davanti a quello che per anni è stato definito dalla storia dell’arte Il bello.

Il percorso espositivo prosegue sinuoso, l'allestimento sperimenta interessanti accostamenti tra le sculture di Giacometti ed i quadri di Picasso, le opere di Louise Bourgeois e una tela Balthus, o tra Uriel di Barnett Newman e i grigi monocromatici di Gerhard Richter.
 Le ampie vetrate creano continui contatti visuali tra il museo, le opere e il paesaggio. Interessanti deviazioni di percorso, come il giardino d’inverno che affianca le sale, invita a soffermasi a guardare la campagna che dirada verso il bosco e a lasciare che i volumi d'arte ed i cataloghi delle mostre lasciati a portata di mano stuzzichino la nostra curiosità.








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